Pubblicato su politicadomani Num 87 - Gennaio 2009

Una storia a puntate (quarta puntata)
Napoli sotto... e sopra - Una città cresciuta all’in giù

Risorsa preziosa e fragile, che la città non riesce a valorizzare, con l’urbanizzazione della città le cave diventano in sequenza fonte di materiale da costruzione, rifugio antiaereo, discariche e, solo negli ultimi anni, luoghi adibiti a memoria storica e attività culturali

di Ciro La Rosa

Con i pozzari e i cavamonti, grazie al tufo, i napoletani potevano costruire nel sottosuolo urbano elevando la città in senso verticale, scavando dai 40 agli 80 metri in profondità, fino ad altezze impossibili per altre pietre. Gli scavi avvenivano sia sotto i palazzi nobiliari sia sotto le abitazioni più modeste. È così che sono strutturati i  Quartieri Spagnoli. Nati come acquartieramenti militari voluti da Don Pedro da Toledo tra il 1540 e il 1545, essi crebbero in breve tempo vertiginosamente in altezza proprio in virtù delle cave situate sotto i nuovi edifici sulla collina di S. Elmo.
Con il subentrare degli austriaci nel 1707 si bloccò l’edilizia sacra, l’unica permessa, e fu liberalizzata l’edilizia civile che si sviluppò in modo disordinato. L’urbanizzazione ebbe luogo prevalentemente verso la zona orientale, su via Marina e via del Pilifero. È qui che nasce l’embrione di quello che sarà poi nel periodo borbonico “Il miglio d’Oro” delle ville vesuviane.
Con la venuta di Carlo III nel 1734 ebbe inizio il Regno indipendente. Divenuta di nuovo capitale, l’urbanizzazione di Napoli aumentò e le pietre per le nuove costruzioni vennero di nuovo  prese dal sottosuolo. La città si espanse dalla zona occidentale a quella orientale e così al già traforato monte Echia e al bucherellato vallone della Sanità, alle Fontanelle e alle Vergini si aggiunsero gli scavi nella zona di Capodimonte: il vasto complesso di cave di proprietà Reichlin fornì le pietre per erigere gli agglomerati urbani della zona collinare. Queste cavità sono diventate poi a fine ‘800 i serbatoi dell’A.R.I.N. (Azienda Risorse Idriche di Napoli), ex A.M.A.N. (Azienda Municipalizzata Acquedotti di Napoli), che gestisce l’acquedotto napoletano.
Lo sfruttamento del sottosuolo della città venne fatto in modo non intensivo e rispettando la staticità delle costruzioni sovrastanti. Fu solo negli anni ’70 del secolo scorso, durante il periodo selvaggio dell’abusivismo edilizio che venne perpetrato un vero sfruttamento indiscriminato, da rapina, nel vallone S. Rocco. Le pietre vennero estratte in modo dissennato, senza tener conto della sicurezza statica delle cave, con grave pericolo per la zona sovrastante, a causa delle frequenti frane e smottamenti. Peggio ancora, le cave furono utilizzate come discariche abusive e depositi dei liquami della zona ospedaliera. Una situazione che ha provocato numerose vittime negli ultimi vent’anni tra la popolazione e tra i tecnici addetti al controllo, nella zona di Materdei, nei Quartieri Spagnoli, a Capodimonte-Piscinola. Qui esistono, finora conosciute, nove cavità, l’ultima delle quali è stata scoperta nel 1980, durante i lavori del metrò collinare nella tratta Colli Aminei-Secondigliano.
Nel 1943 le cave situate nel centro storico furono riadattate e adibite a ricovero della popolazione dalle incursioni aeree della seconda guerra mondiale, su proposta dell’ingegnere Guglielmo Melisurgo, dirigente tecnico del Comune di Napoli. È suo il primo vero studio, “Napoli Sotterranea”, del sottosuolo napoletano pubblicato dalla casa editrice Colonnese. Grazie alla sua intuizione furono realizzati ben 400 ricoveri con 600 punti di accesso che salvarono la vita a moltissimi napoletani. Finita la guerra questi locali vennero abbandonati. Inoltre, quasi a voler dimenticare e allontanare le sofferenze e l’orrore della guerra, essi furono trasformati in discariche di materiale edilizio e di rifiuti urbani. Queste cloache sotterranee abusive, oltre a provocare inquinamento con le infiltrazioni di percolato nelle condotte dell’acqua, sono responsabili di numerosi incidenti mortali perché, con l’incendio dei rifiuti ivi contenuti, si provocano smottamenti che hanno già inghiottito interi palazzi uccidendo.
Eppure tali cavità sotterranee potrebbero diventare luoghi di attrazione turistica. È solo negli anni ’90 che due rifugi antiaerei sono diventati luoghi di visita storico-culturale: uno si trova nel centro storico, nei pressi della chiesa di S. Paolo Maggiore, e l’altro in via S. Anna di Palazzo 52, nei Quartieri Spagnoli.
Si stima che il vuoto delle cave napoletane ammonti a circa 2 milioni di metri cubi. Una situazione che esige un attento e mirato controllo statico e un vero e proprio monitoraggio affidato a personale con alta professionalità dei Servizi Tecnici del Comune di Napoli, dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile.
Le cavità sotterranee della città costituiscono un mondo sotterraneo curioso, affascinante e tutto da scoprire. Di questo mondo si occupano da anni gli speleologi che hanno dato vita a “Napoli Underground”, una associazione relativamente giovane ma molto conosciuta, specialmente all’estero, la quale, fra le altre attività culturali di risonanza internazionale (www.napoliunderground.it), promuove ed organizza visite guidate nel sottosuolo di Napoli.
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